Posted on: Settembre 29, 2021 Posted by: marco Comments: 0

Vivi Veglie continua il suo viaggio! Senza fretta, passo dopo passo accendiamo i riflettori sulla storia della nostra cittadina, parlandovi di chi quella storia la scrive e cioè i vegliesi.
La protagonista del racconto vegliese di questo mese di passi ne ha fatti tanti. Come già avete intuito è una donna, una di quelle energiche, che non si ferma mai, in grado di inventarsi e reinventarsi. Il suo legame con la terra che la ospita è forte e viene da lontano. Anna Chiara Coppola è una sognatrice, una di quelle che sa che i sogni non hanno scadenza.

– Breve presentazione personale (includendo quelli che possono essere i tuoi interessi).

Sono Anna Chiara Coppola, ho 38 anni sono di origini vegliesi, ma cittadina del mondo. Il mio primo volo aereo risale al 1991, mio padre venne trasferito a Malta per lavoro e noi lo seguimmo. Quando hai otto anni non hai la maturità per comprendere quanto un’esperienza di questo tipo possa segnare e determinare il percorso della tua vita. In quegli anni internet non esisteva, Malta era per me quello che la cartina geografica su una pagina dell’enciclopedia mostrava: un puntino quasi invisibile nel cuore del Mediterraneo.

Malta è stata la mia “finestra sul mondo”, frequentavo una scuola internazionale inglese, i miei compagni di classe provenivano da ogni parte del globo; eravamo un concentrato di multiculturalità a trecentosessanta gradi. A otto anni ho imparato a non aver paura di chi è “diverso” da me, a conoscere e rispettare le regole del Ramadan, a otto anni ho capito che la diversità è ricchezza.

Sentirsi cittadini del mondo, per me non vuol dire dimenticare le proprie radici, il Salento e Veglie sono la mia terra, sono il luogo dove ogni volta che faccio ritorno “ricarico” le mie energie. Vivere il mondo mi fa sentire parte di una grande comunità fatta di relazioni, legami, esperienze che si intrecciano e che continuano a rimanere legate da un filo rosso che dura per sempre.

– Come nasce questo interesse per l’Africa?

Chi mi conosce da poco pensa che il mio amore per l’Africa sia nato con questo viaggio in Congo, invece così non è. Da piccola non mi perdevo nessuna puntata di Super Quark dedicata al continente nero. Ogni pomeriggio guardavo “Le voci della Savana” un cartone animato ambientato in Kenya. Durante il periodo dell’università ho avuto la possibilità di studiare la storia di alcuni paesi africani, come ad esempio il Sud Africa e l’Apartheid, che sono stati poi gli argomenti su cui ho scritto la mia tesi di laurea.

– Lì hai un lavoro ma sei anche una volontaria, di cosa ti occupi di preciso?

Sono arrivata in Congo senza alcuna intenzione di cercare lavoro, tutto si sarebbe dovuto concludere dopo tre mesi. Posso dire che è nato tutto per caso, senza nulla di programmato, del resto si sa che la vita molto spesso è imprevedibile e alla fine in Congo ci sono rimasta. La mia esperienza lavorativa è iniziata come assistente nella scuola internazionale inglese a Pointe-Noire, oggi, a distanza di tre anni ho una cattedra in prima elementare e dirigo la stessa scuola.

Non mi piace definirmi “volontaria” semplicemente perché di fatto non lo sono, in Congo io ci lavoro. Qui sono “mama mundele”, ossia la “mamma bianca” (è così che mi chiamano i bambini o le famiglie a cui dedico parte del mio tempo). Che sia l’orfanotrofio, i bambini che quotidianamente incontro per strada o le famiglie che con il tempo ho conosciuto, quando posso, il mio aiuto va a loro. Può essere un aiuto in termini economici, di cibo, materiale didattico, vestiario o semplicemente del tempo trascorso con loro.

A questo proposito devo dire grazie anche a molti cittadini vegliesi che hanno contribuito con il loro sostegno.

– Raccontaci del tuo primo giorno in Congo.

L’impatto con l’Africa è sempre un pugno che arriva dritto nello stomaco. Fu così nel 2005 quando atterrai a Nairobi, in Kenya ed è stato così il 29 Dicembre 2018 quando per la prima volta atterravo a Pointe-Noire. Appena si aprì il portellone dell’aereo fui letteralmente travolta dal un caldo umido che toglieva il respiro. L’aeroporto all’epoca era ancora quello vecchio, sembrava di essere nella scena di un film, struttura piccola, pareti che mostravano tutta la loro età, sedie in legno, niente aria condizionata e un unico nastro bagagli usurato e scricchiolante.

Anche il secondo giorno non è stato da meno… uscire per la prima volta a piedi per andare a fare la spesa, sentire la tensione in ogni parte del corpo, voltarsi tutte le volte che un clacson suonava senza capirne il motivo. Ma ciò che più mi rendeva ansiosa era il non riuscire a comunicare. L’inglese è la mia seconda lingua, ovunque sia andata non ho mai avuto difficoltà nel comunicare, ma il Congo è un’ex colonia francese e io non avevo mai studiato questa lingua.

Tre anni sono uno schiocco di dita, eppure, a me sembra un’eternità. Oggi il francese è la mia terza lingua, conosco questa città quasi in ogni sua parte e quando sono alla guida ci sono persone che quotidianamente incrocio e mi salutano. In tre anni ho costruito tanto e continuo a farlo. Oggi, qui, mi sento a casa.

– Differenze sociali. Come si vive in Congo? Quanto hai impiegato per abituarti a quegli usi e costumi?

Per alcuni aspetti è una società con usi e costumi molto diversa dalla nostra. Per altri aspetti trovo tantissime somiglianze con il Sud d’Italia. Un esempio tra tutti: la cucina. Arrivata qui non mi sono scandalizzata quando ho visto le donne cucinare in giardino, anzi, in ogni donna che accende il fuoco e mette a cuocere il Saka Saka o frigge i bignè rivedo le mie nonne, loro cucinavano in giardino. C’è chi storce il naso quando vede qualcuno mangiare con le mani, eppure, noi mangiamo la pizza o la frisa con le mani.

Quando sei abituata a vivere il mondo e a creare legami ti senti “a casa” ovunque, o almeno, per me è stato così da sempre. Mi sentivo a casa a Malta, a Perugia, in Portogallo, mi sento a casa qui a Pointe-Noire.

– Razzismi a confronto. Come viene vista una donna bianca in una cittadina di gente di colore? Cosa pensi dell’aumento dei casi di razzismo in Italia?

Premesso che a me non piace utilizzare i termini “nero”o “di colore”, anche perché i cinesi mica li chiamiamo “gialli”. Credo che tutto dipenda da come tu ti poni e da come ti relazioni con le persone. Questo vale in Congo tanto quanto in Italia. Come dicevo prima, ognuno di noi  è diverso, non solo nel colore della pelle, siamo diversi in tutto. Se di colore di pelle vogliamo parlare anche due “bianchi”, non saranno mai uguali. Avranno occhi diversi, un fisico diverso, avranno pensieri diversi. Non si può ridurre tutto al colore della pelle o alla religione. Ad oggi, in quasi tre anni, non ho mai subito un atto di razzismo, i congolesi sono un popolo accogliente. Fondamentale è non porsi mai un gradino sopra rispetto all’altro, siamo uomini e donne e lo siamo tutti allo stesso modo e livello. Siamo noi a creare differenze e contrasti.

In merito al razzismo in Italia, credo che la scuola in primis e poi le famiglie siano i luoghi in cui si dovrebbe insegnare che il razzismo non deve esistere. Per quanto riguarda l’Italia in particolar modo, noi siamo stati i primi a emigrare all’estero e anche noi abbiamo subito atti di razzismo, credo che la storia dovrebbe insegnare a non commettere gli stessi errori.

– Ti manca Veglie o in generale l’Italia? 

Certo! Sarei ipocrita a dire il contrario, ma mi manca tanto quanto quando ero a Lisbona, Malta o Perugia. Ci sono giorni in cui mi manca di più, altri in cui sento meno il peso della distanza e poi ci sono giorni in cui cerco di non pensarci troppo e lo faccio dedicando il mio tempo ai bambini o mettendomi ai fornelli. Una cara amica conosciuta in Congo, il giorno della sua partenza mi disse: “Siamo salentine, quando sentirai il peso della nostalgia di casa, tu mettiti a fare qualcosa: cucina, cuci, inventati qualcosa da fare, non fermarti mai”… ed è quello che faccio.

– Il tuo futuro dove lo vedi? Lì in Congo, oppure, qui in Italia?

Fino all’anno scorso cercavo di progettare quante più cose possibili. Nell’ultimo anno, la pandemia ci ha fatto capire che puoi progettare tutto quello che vuoi, ma basta un attimo e tutto crolla. Oggi come oggi non riesco a dirti come mi vedo tra qualche anno e cosa farò. Questo non vuol dire vivere alla giornata ma semplicemente evitare di “farsi troppo male” quando la vita ti costringe a cambiare rotta.

Se il Congo continuerà a darmi la possibilità di lavorare e vivere qui, non avrò motivo per andare via.

– Viaggiando con Alice. Un blog ma anche uno stile di vita, quello di una ragazza desiderosa di raccontare e scoprire. Parlaci del tuo sito.

Il sito è nato per caso in un periodo particolare della mia vita. Avevo tanto tempo libero, così ho iniziato a portare sul web quello che per anni era stato il mio diario di viaggio fino ad allora. Faccio fatica a definirmi una blogger, perché i blogger scrivono sempre, ogni giorno. In questo io ho una grande difficoltà, infatti, non fa per me scrivere cose costruite, oppure, perché il mondo del web ti impone di essere presente tutti i giorni se vuoi essere in cima alle ricerche. Io scrivo quando ho qualcosa da raccontare, quando ho la cosiddetta “ispirazione”. La mia scrittura avviene in maniera naturale e senza tempi prestabiliti. Scrivo in piena notte, quando l’insonnia non mi fa dormire. Scrivo nelle pause pranzo o quando sono di ritorno dal mare. Quando la mente inizia a produrre pensieri devo metterli nero su bianco nell’immediato, altrimenti, passato quel momento, tutto svanisce.

– Quali sono i progetti per il futuro? 

Ancora?? Ho già risposto a questa domanda! <risata>

Intervista realizzata da Marco Palma