Ascoltare Stefano mi ha fatto tornare in mente una vecchissima canzone dei B-Nario, un gruppo pop italiano degli inizi anni ’90. In quel testo si descrive l’entusiasmo, il sudore, la voglia di imparare e di mettersi alla prova di chi partendo da un garage inizia a suonare. Come dice Stefano, in quegli anni erano pochi quelli che facevano cover, infatti, per suonare in un locale dovevi avere i tuoi pezzi. Ecco perché Stefano e suoi amici hanno lavorato sodo per poter fare le live e incidere i primi dischi.
Pensandoci bene, sotto sotto questo non è altro la rappresentazione della storia e della forza di quella generazione a cui nulla è stato dovuto e nulla è stato dato. I millennials fanno non copiano, i millennials danno peso alla sostanza più che alla forma, i millennials lottano per fare ciò che gli piace. Proprio come in quella canzona, Stefano continua a seguire il suo sogno “fare la musica che piace a noi”.
Buona lettura con le storie di Vivi Veglie.
Presentazione
Stefano Sirsi. Classe 1986, nasce in provincia di Lecce. Vive a Veglie. Autore, cantante e chitarrista, dopo quasi vent’anni dalla sua prima esperienza musicale, oggi si racconta a Vivi Veglie. La musica nella sua vita è stata da sempre satellite, anche quando la sua mente era concentrata su altro, come gli anni vissuti all’università, gli studi compiuti (ha una laurea in Scienze Politiche e una in Giurisprudenza). Anche questo, oltre che ad altri interessi, come la lettura (non solo di musica, ma è un appassionato di storia contemporanea, soprattutto di casi e misteri irrisolti della storia dell’Italia repubblicana) e viaggiare (adora New York!) ne fanno prima che un musicista, una persona molto attenta a ciò che lo circonda. A 36 anni, crede ancora alla purezza della musica rock, la sua passione. Musica di sostanza, non solo di forma. Ha inizio proprio da qui il suo percorso artistico.
Che cosa significa essere “artista” per te? Acuta domanda! (ride). Credo di essere nato “artisticamente” nella mia prima adolescenza. Se qualcosa ti piace così forte, lo senti dentro. Nel mio caso però, non posso dire che sia genetica. Mi spiego. Non vengo da una famiglia di musicisti o artisti in genere, pertanto parlare di DNA artistico non credo sia appropriato. In casa mia si ascoltava musica italiana soprattutto, leggera e a sprazzi cantautorato. Ma io respiravo musica in maniera differente. Quello che fai in quegli anni te lo porti dietro, quello che ascolti, come ti approcci, ti segna per sempre. In maniera semplice, penso che essere “artista” sia un modus vivendi, che non necessariamente deve andare di pari passo al successo, mamma che parola! Se ne abusa troppo. È un concetto. Mai una moda, almeno per me.
Come ti sei avvicinato alla musica? Mi è sempre piaciuto cantare. La voce è stata il mio primo “strumento”. Come vi dicevo, i miei primi ascolti gli ho fatti nel rock, vivevo le giornate dell’arte al liceo, condividevo con i miei compagni ed amici cd, musicassette e i vinili, che vedevo come reliquie da custodire gelosamente. Ma soprattutto nei primi anni 2000 cominciava ad impazzare il formato mp3. Oltre 100 canzoni in un cd, che tempi! Cominciai a strimpellare la chitarra classica che mio padre comprò a mio fratello, il quale frequentava una scuola di musica. Io, grazie a qualche prima lezione, imparai a suonare da autodidatta. Comprai poi una chitarra acustica. Qualche anno dopo, ne comprai una elettrica, e li fu la fine!! (ride).
Chi ti ha ispirato? Quali sono le tue influenze? Bellissima domanda! Qua si apre un mondo, ma non posso dilungarmi all’infinito. Dai 16 anni in poi ho consumato rock a chili! Sono stato letteralmente folgorato dal post-punk, dalla new wave dei primi anni ’80: U2, Joy Division, The Cure, Television. Andando a ritroso, fine anni ’60, tra i miei preferiti ci sono i Velvet Underground, Lou Reed, David Bowie. Sono da sempre di sponda Beatles. Impazzisco per il pop-rock, il brit-rock (tra le mie band preferite ci sono Radiohead, Oasis, The Verve, Coldplay, The Cranberries, Keane e tutto quel filone) ed ancora, i Kings Of Convenience, Jeff Buckley. Ho amato anche il love metal di una band famosissima finlandese, gli HIM! Oggi mi piacciono molto gruppi come Arctic Monkeys, The Last Shadows Puppets, Interpol, Editors, White Lies, Inhaler, Fontaines D.C. e solisti come Sam Fender. Tra le band italiane ho sempre molto apprezzato i Marlene Kuntz, gli Afterhours, il Grignani de “La fabbrica di plastica”. Ma c’è tanto altro, sono sempre stato un grande ascoltatore. Potremmo stare a parlare ore ed ore!
Che sapore ha per te suonare in una band? Gli Specie Veruna (2003-2007) sono stati la mia prima band. È qui che ho scritto le mie prime righe, ero la voce e l’autore dei testi. All’epoca non suonavo. Nonostante avessimo gusti musicali parecchio differenti, io vivevo completamente per quel progetto. Tornavo da scuola con una sola idea, trovarci in sala prove e “spaccare” sugli strumenti, scrivere e comporre. Abbiamo suonato tanto anche live: penso al Transilvania, al Candle, live club molto in voga a quel tempo a Lecce. Alle feste dell’Unità. Al “Rock on the road” organizzato in un pomeriggio qui a Veglie, ai campi di Peppino Cirillo, sulla via per il mare. Era il 31 marzo 2005, con altre realtà musicali come gli Helvetica, i Gualeve, gli EdenGarden. Che tempi meravigliosi, avevo solo vent’anni, gli anni migliori!! (ride). Penso poi ai vari Contest: tra tutti, l’UDE Woodstock a Torre San Giovanni nel maggio 2005; sempre in quell’anno, a settembre, le finali di Sanremo Rock a Ravenna; l’Emergenza Music Fest, all’Indian Saloon di Milano, nel gennaio 2007. E poi ancora, i live al Gatto Nero, a Torre Lapillo. Io nasco nelle band, il concetto di rock per me si esplica in questo. Poi ce ne sono state altre. Ci sono stati i Mentedirado (2009-2011). Un’altra mia grande esperienza è stata il Karma di Greta (2014-2018): degno di nota fu l’opening act al duo palermitano Il Pan del Diavolo, al Parco Gondar di Gallipoli nel luglio 2015.
Nel 2020 decidi di uscire al pubblico con il tuo nome. Parlaci del tuo progetto omonimo. Negli ultimi quattro anni, molte cose sono cambiate nella mia vita. Dalla fine dell’esperienza nel Karma di Greta, nel 2018, decisi di prendermi del tempo. Mi sono sposato e sono diventato padre. Due eventi per me molto importanti e significativi. Ho anche qualche lacrima nel cuore. Nel bel mezzo, una pandemia mondiale. Comincia allora a prendere corpo l’idea di scrivere nuove cose, mi sentivo molto ispirato, come non succedeva da tempo. Chiamo a collaborare con me Gianni Macavero (batteria) e Francesco Chetta (basso), amici di vecchia data, con cui avevo già condiviso l’esperienza del Karma. Nel novembre del 2021 ho registrato presso il “PureRock Studio” di Nanni Surace, a Brindisi, un EP in presa diretta, dal titolo “Dipinto Studio Sessions”, che ho successivamente pubblicato, nel gennaio 2022, in digitale. Contiene cinque tracce. Sia chiaro, non è un disco. Fare dischi è diverso. Ma volevo registrare il meglio che avessi prodotto, metterlo su “nastro”, farlo ascoltare, era anche un modo per dire: “Hey! Sono tornato! (ride), in attesa di maturare altre idee e nuovi confini musicali. Oggi poi, è così semplice, grazie ai distributori digitali che mettono la tua musica su Spotify, YouTube, ecc. Io sono – da sempre – un’artista indipendente, per ora! (ride). Come per molti artisti “senza etichetta”, ciò agevola molto nel far conoscere il proprio prodotto. Se penso a vent’anni fa, l’unico modo era masterizzare la propria demo e passarla agli amici e parenti stretti. Come è inevitabilmente cambiato il mondo!
Ascoltando “Dipinto Studio Sessions”, ci viene in mente la prima traccia, “Cosa ti resta”. A noi sembra una riflessione sulla società che si basa molto di più sulla forma e meno sulla sostanza, sull’uso spropositato che si fa dei social network. Sì, è esattamente così. Premetto che questa canzone aveva un altro titolo, si chiamava “Banane sulla testa”, banane nel senso di suppellettile, per rendere artefatte le immagini che vediamo. Mi venivano in mente i “leoni da tastiera” dei social network. Spesso, ho riscontrato come si possa arrivare a quel compiacimento così estremizzato che ti rende avulso da tutto quello che è il contesto in cui si vive. Quando scrivo “ti senti figo e basta, tu dimmi cosa ti resta” voglio proprio dire questo. Si rimane soli, in una stanza al buio, con solo la luce dello schermo del pc, nella propria roccaforte. Penso sia solo una maschera di cera, che al sole si scioglie. Oggi poi, che cosa non si fa per quel like in più!
Cosa consiglieresti agli adolescenti di oggi che vogliono avvicinarsi al mondo della musica? Forse sono la persona più sbagliata a cui rivolgere questa domanda. Io suonavo in garage, poi con i miei compagni di band allestivamo quella stanza facendola diventare la nostra sala-prove, con i cartoni delle uova sulle pareti, tipo pannelli fonoassorbenti, non propriamente igienico! (ride). A ripensarci mi viene la pelle d’oca. Dai primi anni del 2000 ad oggi, la società ha preso una piega così veloce (anche e soprattutto grazie alle nuove tecnologie, gli smartphone e lo sviluppo dei social) che quando ero adolescente non si poteva neanche pensare. Eppure sono trascorsi poco più di vent’anni, rifletteteci! Quando tornavo a casa dopo la scuola, il pomeriggio (magari dopo aver studiato – ride) si andava in sala prove per ore e ore. Sere e tarde notti passate – anche di sabato – a suonare e quando ci penso mi chiedo se oggi i giovani adolescenti sarebbero disposti a questo sacrificio. Ed ancora: come faccio io a dire a un ragazzo di oggi che sta nella sua stanza a fare musica, spesso al computer, e meno che con un vero e proprio strumento “no, guarda che fare musica è ben diverso!”. No, non posso, lo devi vivere sulla tua pelle per comprenderlo. Penso ad esempio a quando andavamo ad attaccare le locandine nei punti strategici. Oggi c’è Facebook! È una nuova generazione. Lo si può vedere anche nei nuovi generi musicali che ne fanno da padrone. Non discuto ovviamente sui gusti, il mondo è bello anche per questo. Personalmente, ritengo che la musica sia principalmente condivisione di idee, che si fondono tra le persone che ne fanno parte. Per questo ho sempre creduto fortemente nel valore della band.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Posso ufficialmente annunciarvi che dopo l’estate, forse prima dell’autunno, uscirà qualcosa di molto bello, un singolo! Si chiama “Senza Gravità”. E’ una canzone che ho scritto all’inizio di quest’anno. Sin da subito ho sentito che aveva del potenziale in sé, quel giusto connubio tra bellezza del testo e musica che spacca l’anima. Senza volerlo, credo di aver scritto una canzone che parla di resilienza. Ma non voglio dire altro, toglierei la meraviglia! Il brano è stato prodotto, registrato, mixato e masterizzato da Michele Dell’Anna, nel suo studio di registrazione, il “Master Garage”, a Lecce. La data di uscita è ancora top secret, ma ci siamo quasi! Ci sarà anche un video-clip promozionale! Inoltre, sto procedendo alla stesura del mio primo lavoro discografico. Molto probabilmente si chiamerà “La curva del tempo”, e salvo intoppi vedrà la luce il prossimo anno, ma siamo ancora in alto mare! Non chiedetemi nulla in merito, ve ne parlerò nella prossima intervista che mi farete! (ride). Per il resto, mi auguro di suonare live, dopo anni di stop forzato. A marzo scorso ho preso parte al contest “Va al Diavolo”, tenutosi al Parco Jungle Raho di Nardò, una selezione per gruppi che si contendono l’apertura della “Sagra del Diavolo” che si tiene a Galatone ogni agosto. Non sono stato selezionato, ma mi sono molto divertito! Dietro l’angolo, il prossimo 2 luglio, farò parte del “Veglie Music Fest”, manifestazione organizzata dalla Proloco, nell’ambito della tre giorni dedicata alla festa di San Giovanni Battista! Insomma, tutto sta di nuovo rinascendo, e soprattutto nella nostra Veglie!
Un’ultima domanda. Come vedi l’abbinamento “Cultura” e Veglie? Personalmente, ritengo che senza cultura, di qualsiasi forma e colore, non si va da nessuna parte. Se c’è cultura, tutte le manifestazioni dello spirito e dell’anima possono crescere. Non solo. La cultura porta anche sviluppo dell’economia. Cos’ è cambiato oggi? Di sicuro, non possiamo scaricare le colpe sulle giovani generazioni, ma piuttosto, dobbiamo chiederci cosa non siamo riusciti a trasmettergli noi. L’abbinamento può essere vincente, ed io nel mio piccolo mi batto. Il mio paese è un paese che può fare. A Veglie ci sono sempre state le risorse e le persone disposte a mettersi in prima linea a fare la propria parte. Bisogna solo continuare!
Intervista a cura di Marco Palma e Giorgio Cappello