Il nostro centro storico ha tanto da raccontare e mentre camminavo per quelle viuzze, mi sono fermato a parlare con una donna che non tutti in paese conoscono, ma che ha una storia che non possiamo assolutamente lasciarci scappare.
Rosanna Panzanaro classe ‘51, calciatrice professionista di Serie A dell’allora Squadra di Calcio Femminile Alaska Gelati Veglie.
Questa è la sua storia…
Avevo 19 anni quando lavoravo per Alaska, ricordo che all’ora della mensa passavo il tempo a giocare a calcio con le mie colleghe. Un giorno, Ernesto Guarini, si avvicinò mentre lavoravo su una macchina per la produzione dei coni gelato, mi disse che ci aveva visto giocare e che voleva fare una squadra. Non vi nego che accettai entusiasta quella proposta. Ernesto comprò tutto il necessario per farci giocare, l’allenatore era Piero Cacciatore e successivamente si unì a noi anche la squadra del Copertino.
In quegli anni si giocava per amore e affetto, mettendoci il cuore. Non mi sono mai tirata indietro davanti alle difficoltà. Mi alzavo alle 4 del mattino per andare ad allenarmi. La squadra nacque dal nulla, il campo stesso lo mettemmo in piedi noi togliendo le pietre dal terreno vicino alla fabbrica. Oggi non giocano per amore ma se mi fosse concesso di fare l’allenatore di una squadra femminile accetterei subito.
Ernesto Guarini è stato un signore, non meritava di morire. È sempre stato delicato con tutti, non ricordo una sola parola di astio ricevuta da lui. Così come lui anche la moglie, senza dimenticare i suoi fratelli e le loro mogli. Non gli si può rimproverare nulla, meritava l’intitolazione di una via perché lui per Veglie ha fatto moltissimo. Se Veglie in quegli anni era così sviluppata era solo grazie all’Alaska Gelati.
Ricordo ancora come quando si vinceva poi nel pullman si rideva, si cantava e si scherzava. Mentre quando perdevamo al ritorno per la tristezza c’era solo silenzio. Pensate un po’, avevamo anche i premi partita. 20 mila lire al mese, più 10 mila lire in caso di vittoria e 5 mila lire in caso di sconfitta. Arrivammo a giocare in Serie A.
Abbiamo giocato ovunque, in tutta Italia. Ricordo quando a Grottaglie scoppiai a piangere in campo, perché credevo che quella che stava passando fosse una palla facile, invece, persi un rigore e per poco rischiammo di perdere la partita. Un’altra volta, invece, eravamo a Roma e pioveva fortissimo, al punto che i pantaloncini scivolavano e io ero un po’ scettica sul risultato della partita. Ebbene, durante l’intervallo, Ernesto ci raggiunse nello spogliatoio per spronarci, poi mi guardò e mi disse “tie lu pallone ti lu mangi, ci pierdi osce a Veglie no ti ni portu!”.
Io amo l’Alaska.
Intervista a cura di Giorgio Cappello