Quando ho cominciato a pensare a questo progetto, immaginavo a un grande contenitore di informazioni. Un grande libro della storia del nostro territorio, della nostra Veglie. Sono poche le storie conosciute da tutti, ma sono tante quelle che nessuno conosce. Oggi mi addentrerò in una di quelle sconosciute ai più. Tra le ricorrenze che da sempre Veglie festeggia, una delle più conosciute, è senz’altro la festa in onore del Santo Patrono San Giovanni Battista. Dopo secoli e secoli di festeggiamenti, conosciamo davvero quali sono le ragioni che portarono i nostri avi a sceglierlo come Santo protettore della nostra cittadina?
La storia o il mito popolare (dipende dai punti di vista), si svolge nell’XI sec., nella Veglie del basso medioevo. Durante una processione in cui la statua del Santo1 veniva trasportata in direzione di Salice Salentino in una chiesetta a lui dedicata 2, a metà percorso iniziò misteriosamente a pesare di più rendendo quasi impossibile il prosieguo del pellegrinaggio. In alcuni racconti si sottolinea come i fedeli abbiano compiuto diversi tentativi per proseguire ma tutti senza successo. A quel punto, forse increduli, forse spaventati, i fedeli decisero di riportare la statua in paese. Man mano che ci si avvicinava a Veglie, essa alleggeriva, questo fenomeno fu interpretato dai presenti come la volontà del Santo di voler tornare nel luogo da cui era partito. In segno di testimonianza, i devoti decisero di deporre un masso di pietra tufacea nel luogo dell’accaduto. Da allora, San Giovanni Battista diviene Santo Patrono di Veglie.
È giusto e doveroso precisare, che storie analoghe a questa vengono raccontate anche in altre parti del Salento, ma questo non toglie che celino in sé un certo fascino che si tramuta in curiosità in chi le ascolta.
Non posso non citare la filastrocca che gli anziani, ancora oggi, recitano a memoria.
Veniva declamata durante questo periodo dell’anno, quando all’orizzonte si annunciava cattivo tempo:
“Ausate S. Giuanni e nno ddurmire/ca sta bìsciu tthre nueje inire:/unu ti acqua, unu ti ientu/ unu thristu mmale tiempu./A mmare, a mmare, a ddo no canta iaddrhru e no luce luna,/ cu nno face male a nnuddhra criatura!.”
[Alzati San Giovanni e non dormire/che vedo tre nuvole venire:/una di acqua, una di vento/una di mal tempo./Mandale verso il mare, dove non canta gallo e non brilla luna,/ che non faccia male a nessuna creatura!] 3
Tale invocazione, veniva accompagnata anche dall’accensione delle candele che i fedeli ricevevano nel giorno della candelora, oppure, più comunemente con del Pane Benedetto 4 gettato per strada in modo da formare una croce. Da questo si deduce che con ogni probabilità, San Giovanni era associato ai temporali nella speranza che li scongiurasse.
Ma si sa che spesso le storie vanno in contrapposizione, infatti, tra quelle che più vengono raccontate dagli anziani vegliesi, ce ne sono due che mi hanno maggiormente colpito. Secondo questi racconti, molti anni fa, durante i lunghi periodi di siccità, si usava portare in processione San Giovanni in due punti esatti del paese, stavolta però non per scongiurare un temporale ma, al contrario, per chiedergli la pioggia.
La statua veniva portata al confine tra Veglie e Salice, in modo che guardasse in direzione della chiesa della Madonna della Visitazione, oppure, veniva portata in processione nella chiesetta della Madonna dei Greci dove veniva celebrata una messa. Tutto questo per intercedere con il Santo al quale si chiedeva la pioggia nel periodo di marzo e aprile. In entrambi i casi, si racconta che la statua venisse spogliata dei suoi abiti buoni e vestita con gli abiti vecchi in segno di penitenza. La peculiarità di queste storie è che in entrambe si parla di una “sarda in salamoia” posta sulla statua, alcuni dicono sulla croce, altri che veniva strofinata sulla bocca del Santo, probabilmente facendo storcere il naso ai parroci dell’epoca. La spiegazione che danno gli anziani è che il salato della sarda avesse la funzione di accentuare nel santo la secchezza della bocca e, quindi, la necessità di acqua. Da qui il detto popolare:
“Ale cchiui nn’acqua ti marzu e bbrile ca na carrozza ti oru cu tutti li cavalli. Acqua ti maggiu piscina ti ciucciu, ca rruina tuttu”
[Vale più l’acqua di marzo e di aprile, che una carrozza d’oro con i cavalli. Acqua di maggio, urina d’asino, che rovina tutto”].
Spiegandola in breve, le piogge di marzo e aprile aiutavano i contadini nella cura del grano, a differenza di quella di maggio che rovinava il raccolto rendendone difficile la mietitura.
Spostandoci dal credo cristiano cattolico si ricorda anche un culto pagano, non propriamente vegliese ma piuttosto salentino, quello dell’acqua di San Giovanni. Durante la notte tra il 23 e 24 giugno i contadini raccoglievano delle erbe, certi che grazie all’intercessione del Santo avessero dei particolari poteri benefici. Una volta raccolte si utilizzavano per preparare un distillato “magico” in grado di far guarire da ogni male, favorire la fecondità nell’uomo, oppure, purificare da ogni sortilegio l’anima delle ragazze prossime alle nozze.
Di queste e di altre storie ne è piena la storiografia locale, chissà quanto c’è di vero e quanto invece è pura invenzione. In ogni caso, in questo grande contenitore di informazioni voglio dedicare tutto lo spazio necessario per custodirle, perché credo che studiarle sia un dovere ma tramandarle soprattutto un obbligo.
Giorgio Cappello