Forse mai come in questi giorni ci siamo ritrovati a guardare fuori dalla finestra e a chiederci quanto sarebbe bello essere altrove, quanto tempo abbiamo sprecato dietro a scelte sbagliate e a chiederci quanto di quel “là fuori” ci siamo persi.
La storia che ci apprestiamo a raccontare è quella di due giovani vegliesi che hanno deciso di scappare, due spiriti liberi che non vivono qui da ormai dieci anni, alla ricerca di sé stessi e di quello che la vita e il nostro pianeta mettono a disposizione. Due sognatori che non si sono mai fermati, a cui non importa progettare il futuro secondo i canoni imposti dalla società, di quelli che hanno il vaccino contro l’influenza sociale.
Stefano e Gabriele Ascanio, nati in Germania da genitori salentini, a 13 anni si trasferiscono a Veglie.
Il primo viaggio di Gabriele è stato a Rimini, dopo un po’ decide di intraprendere un viaggio in bici sugli appennini. Rientrato a Lecce per qualche mese, decide di ripartire in Germania per lavorare con i suoi genitori, ma dopo un po’ capisce che non era nemmeno quello il suo posto e decide di riprendere il viaggio. Anche stavolta prende la bici ed è da allora che non si ferma. In due anni è stato un po’ ovunque (fino al deserto del Sahara). È durante questo viaggio che ha incontrato la sua compagna Dé Amorgaste e quello che poi sarà il suo lavoro: la magia. Un giorno, mentre organizzavano un altro viaggio (stavolta verso la Norvegia), Dé Amorgaste scopre di essere incinta, quindi, decidono di restare in Belgio. Enea Marvin Kiwit è il loro primo figlio e quando compie 6 mesi la coppia decide di ricominciare il loro viaggio, questa volta a bordo di un furgoncino (un vecchio Ford Transit). Nei successivi due anni visitano mezza Europa (Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Germania, sono alcune delle nazioni toccate). Alla fine si stabiliscono in un villaggio autogestito in Belgio, dove è nato il loro secondo figlio Kaian Gavin, aiutati da un’allevatrice. Ma il viaggio non è ancora finito.
Stefano, invece, lascia Veglie a 20 anni. Parte all’avventura per Rimini, dove ne resta 8, poi si sposta: Francia, Spagna, Tenerife e infine Margaret River, in Australia dove passata l’emergenza covid-19 farà il bar manager. Ha cominciato a viaggiare con molto ritardo rispetto a Gabriele ma a detta di quest’ultimo “si è ripreso molto bene, ha intrapreso un percorso spirituale e a volte è lui che mi fa da maestro”. Stefano ha deciso di lasciare la carriera perché voleva fare nuove esperienze e per lui il senso della vita sta “nello sperimentare cose nuove, nel vederle e conoscerle, nel confrontarsi con altre culture, nel vivere il più possibile quello che la stessa vita ci offre. Conoscere e imparare fino a quando la vita non ti chiede di fermarti. Ma non voglio arrivarci dopo una carriera lavorativa rimpiangendo di non aver potuto fare altro. Capire questo è stato molto intenso, dovevo vedere e conoscere.”
Cosa rappresenta per voi l’Italia e cosa vi ha portati via da qui?
Gabriele: Siamo nati in Germania dove tutto era completamente diverso, dalla mentalità della gente all’organizzazione, ricordo che le scuole erano precise e ordinate. All’arrivo in Italia ho trovato scuole con banchi imbrattati e lavagne rotte. Pensandoci, credo che forse non mi ci sia mai trovato bene. Mi dispiace molto ma non me la sentirei di far crescere i miei figli lì.
Stefano: Condivido in parte il punto di vista di Gabriele. È vero siamo cresciuti all’estero ma oggi dentro di me sento una sorta di richiamo verso Veglie. Un richiamo che è tornato da poco, ho voglia di vederla e “riconoscerla” un po’. Mi sento comunque in qualche modo radicato a Veglie, la mia cultura viene da lì, io conosco gente da tutto il mondo ma mi rendo conto che il modo in cui sono stato cresciuto è differente da tutti gli altri. C’è qualcosa che mi manca, non nascondo che ci tornerei per dare una sbirciata.
Gabriele, molti anni fa su Facebook chiedevi ai tuoi amici se fosse giusto intraprendere il viaggio o mettersi a fare altro. Cosa risposero? Col senno di poi, pensi di aver compiuto la scelta giusta? Cosa offre questo percorso?
Gabriele: Sono partito a 19-20 anni e non me ne sono pentito affatto, anzi rimpiango di non averlo fatto prima, è stata una scuola impressionante. Durante questi anni ho imparato sei lingue, inoltre, questo percorso mi ha aperto la mente facendomi scoprire il cammino che c’è dentro ognuno di noi, la vita semplice, quella staccata dal sistema monetario. Questo viaggio mi ha dato più di quanto ho appreso in anni di scuola. È grazie ad esso che ho scoperto la vita dei villaggi autogestiti, il mio lavoro e quella oggi è la mia compagna, nonché madre dei miei due figli.
Ti definiresti un Hippie moderno?
Gabriele: Non lo so, questa parola viene interpretata diversamente da ogni persona. A me la parola Hippie non piace, diciamo che se per la gente vuol dire fare uso di droghe, allucinogeni, fare sesso e figli, allora no. Se, invece, intendono connesso alla natura, allora sì.
Stefano, segui anche tu il percorso intrapreso da tuo fratello, oppure, adotti uno stile di vita un po’ più tradizionale, secondo i canoni imposti dalla società?
Stefano: A Rimini ho avuto la possibilità di vivere in una classe sociale molto alta, tra lusso, denaro, macchine, alcool, feste. Inseguivo quel sogno perché nella nostra società ci viene insegnato che quella è la vera felicità. Non ero ricco ma vivevo come se lo fossi, ero riuscito a farmi un nome nel campo dei barman ma ad un tratto mi sono reso conto che queste persone dentro di loro non erano felici. Mi sono accorto che tutti si nascondevano dietro a una maschera. Questo mi ha lasciato scioccato, è stato come incassare un colpo allo stomaco, infatti, guardandoli dentro ho capito che non avevano niente, erano delle persone vuote.
Grazie a mio fratello ho avuto modo di conoscere i villaggi autogestiti, questo mi ha aperto un nuovo mondo. Lui mi ha fatto scoprire come si può vivere bene, leggeri e in semplicità con quel poco che ti offre la natura. Viaggiando ho imparato lingue diverse, attualmente ne parlo cinque (italiano, inglese, tedesco, spagnolo e un po’ di francese). L’idea dei villaggi autogestiti è affascinante, si vive veramente in sintonia con la natura. Ho vissuto dentro case, negli alberghi, nella giungla in tenda e tutto perché per me il viaggio è sperimentazione. Viaggiare è uno studio della vita, osservare le differenze del mondo e degli stili di vita delle persone.
Gabriele, invece, qual è il tuo concetto di casa?
Gabriele: Questo è un grande argomento, infatti, la mia è una ricerca continua. Ho già partecipato alla creazione di quattro progetti di villaggi autogestiti (dove ho speso tempo, energia e soldi) che ho lasciato per andare altrove. Il mio sogno di casa è avere modo di costruirmela da me, in mezzo la natura tra gli alberi, con un orto e degli animali. Una casa da condividere con altri, dove ritornare dopo un viaggio.
Gabriele, prima abbiamo visto tuo figlio che ti parlava in italiano. Conosce altre lingue?
Gabriele: Mio figlio Enea ha 4 anni e parla quattro lingue. Con me parla solo l’italiano, con sua madre il fiammingo, qui con gli altri parla in francese (lo ha studiato a scuola) e in famiglia parliamo l’inglese.
Cosa pensano i vostri genitori del percorso che avete intrapreso?
Gabriele e Stefano: All’inizio erano un po’ contrari, ma poi hanno visto quello che stiamo imparando e che stiamo diventando. Crediamo che siano fieri di noi.
Qual è stata la vostra esperienza peggiore all’estero? Avreste dei consigli da dare a chi vuole approcciarsi a un viaggio?
Gabriele: Sono felice di aver avuto la mia peggiore esperienza. Ero a Bordeaux, in Francia, quando mi rubarono tutto (documenti e soldi, ndr). Fossi ripartito non avrei mai incontrato né Dé Amorgaste né avrei scoperto l’arte magica. Il consiglio che posso dare a un aspirante viaggiatore è di partire senza farsi troppe domande. Il passo più difficile lo si compie il primo giorno, decidendo di mollare tutto e di partire. Sicuramente all’inizio sarà dura, ma con il tempo tutto vi verrà più facile. È un’esperienza che dovrebbero fare tutti, anche solo per un po’ ma non come un turista viaggiando in macchina, su un aereo o su un treno. Il mio consiglio è quello di farlo a piedi o in bici. Pensate che sono partito con soli 60€, perché mio padre credeva che non dandomi soldi avrei messo da parte il mio sogno. Invece, si sbagliava.
Stefano: In realtà, viaggiando ho scoperto che ci sono molti meno pericoli di quanto si dice. Prima di partire avevo il timore che mi potesse accadere qualcosa, al contrario, durante il mio percorso ho avuto modo di conoscere un sacco di persone buone e oneste, a differenza di quelle malvagie.
Per quanto riguarda gli spostamenti tendo ad azzardare. Ma attenzione, penso che davanti a una situazione di pericolo si possa scegliere di cambiare direzione, seguire l’intuito fidandosi di sé stessi per uscire dalla situazione negativa. Ho deciso di intraprendere questa nuova avventura in Australia proprio così, senza programmare troppo, lasciandomi andare per vedere cosa sarebbe capitato. Fino ad ora mi è sempre andata super bene. Il fine di un viaggio non è l’arrivo ma il viaggio stesso, sembra una frase filosofica ma ad esempio, quando cominciai il cammino di Santiago lo feci senza avere una meta, prendendomi il mio tempo, con un biglietto di sola andata. Questo è il vero viaggio.
Intervista a cura di Marco Palma e Giorgio Cappello
foto di Stefano e Gabriele Ascanio